martedì 6 novembre 2007

IL RITRATTO

Era la stagione in cui il sole si spegne in freddi tramonti e la notte sopravvive al giorno. L’aria era frizzante e sapeva già di festa e di Natale. Milano si era rivestita di grigio e i negozi brillavano sotto le luminarie accese. La gente camminava per le strade infreddolita e avvolta in caldi cappotti di lana. Anche Marco Rampaldi a passi lenti percorreva le vie del centro.
Sessant’anni vissuti tra protocolli, timbri e lettere da archiviare. Insomma una vita dignitosamente felice, senza grandi avvenimenti e con un’abitudinaria quotidianità. Era solo, non si era mai sposato. Abitava in via Zuretti in una palazzina degli inizi del secolo scorso che aveva attorno un piccolo giardinetto. La sua casa era come lui, pulita, ordinata, con nulla fuori posto. Da che lui si ricordi aveva sempre abitato lì. Figlio unico rimasto orfano di padre ancora bambino, aveva trascorso tutta la sua esistenza con la madre tra quelle pareti. Una piccola cucina giallina, due camere da letto, un bagno, una specie di tinello con un divanetto marrone e una sala.
Quella sera Marco Rampaldi aveva deciso di tornare a casa a piedi. Voleva godersi la sua città e guardare le vetrine. Gli piaceva quell’aria agitata che precede la festa. Tutti si muovevano in modo confuso disordinato. Ognuno con un pacchetto in mano e tanti regali per la testa ancora da fare. Lui no, lui non aveva importanti regali da fare, se si escludono quelli per gli amici del bar, e ne aveva di amici. Nonostante la sua esistenza potesse sembrare monotona e triste in realtà era piena di sogni, di fantasie e storie che ogni tanto raccontava agli amici come fossero vicende vere e realtà vissute, e forse lo erano davvero.
Sua madre era mancata solo qualche anno prima. La casa ora era sostanzialmente più vuota, ma le sue abitudini non erano cambiate. L’aperitivo con gli amici ogni giorno, la partita di biliardo ogni venerdì sera, e ogni domenica il caffè del dopo pranzo con relativa partita di scopone seguita dal racconto delle sue storie, tutte vicende strane e avvolte dal mistero. Era fissato soprattutto con la storia dell’anima, della sua anima. Era convinto di non averne una, o meglio era convinto di averla persa in un sogno quando gli era apparso un uomo strano che gliela aveva chiesta in cambio del suo desiderio più grande. Gli amici lo stavano sempre ad ascoltare rapiti, ogni volta un’avventura diversa, ma quando riattaccava a raccontare dell’anima, del sogno e del quadro… basta, iniziavano a prenderlo in giro e uno dopo l’altro si alzavano dal tavolino e se ne andavano.
Marco Rampaldi, si ritrovava improvvisamente da solo con le sue parole forse le uniche a cui dovevano credere.
Così trascorreva le sue giornate ordinatamente monotone. Stessi orari, stesso lavoro, stessa strada tutte le mattine e tutte le sere, stesso caffè dallo stesso sapore da 30 anni, stessi amici sul cui volto vedeva il passare il tempo nel suo scorrere eterno. Gli anni si succedevano sempre uguali a se stessi, ma quanto era passato da quando lo trascorrere delle stagioni per lui aveva ancora un significato ed attendeva l’arrivo dell’aria nuova con impazienza?
Era ancora Natale, un altro Natale uguale a quelli precedenti, un Natale che avrebbe trascorso da solo brindando davanti al ritratto della sua donna. Già perché anche se era sempre stato solo Marco Rampaldi aveva amato e amava ancora, di un amore sincero unico e forte.

Lei si chiamava Isella Ferrini. Era il Natale del 1991, lui aveva quarantacinque anni, lei dieci in meno circa. Era una sua collega, dividevano lo stesso ufficio e lo stesso timbro del protocollo.
Una mattina di settembre Isella entrò nella stanza triste e silenziosa del terzo piano degli uffici del comune, l’avevano appena trasferita all’ufficio protocolli. Indossava un semplice abitino blu e aveva i capelli raccolti con una coda. Marco Rampaldi alzò la testa e non riuscì più a staccarle gli occhi di dosso. La guardava, la studiava, ne respirava il profumo quando le si avvicinava, l’avrebbe anche fatta a pezzi, mangiata, divorata pur di poterla avere sempre con sé, dentro di sé. Era diventata la sua ossessione. Non c’era momento nell’arco della giornata in cui lui non pensasse a lei.
Isella era diventata la sua vita, il suo ossigeno, il suo tutto ed ora che si avvicinava Natale voleva farle un regalo speciale. Voleva regalarle qualcosa di unico, qualcosa che solo lei potesse avere e che dimostrasse il suo immenso amore. Tornando a casa la sera si fermava davanti alle vetrine dei negozi illuminate e impacchettate. La gente attorno a lui si muoveva frenetica, la fretta era padrona del tempo, solo lui sembrava padrone del suo tempo e si godeva la dolce sensazione di poter pensare a qualcuno che non fosse sé stesso.
Guardava tutte quelle vetrine, quegli oggetti luccicanti in vendita, ma tutto gli sembrava così vuoto, così privo di significato. Lei meritava tutto il bello del mondo, tutta la perfezione dell’universo. Voleva regalarle qualcosa di immenso qualcosa di così grande da non poter essere contenuto in nessuna scatola regalo per quanto grande potesse essere. Fu così che decise di regalarle l’anima.
Già l’anima. Dopo quel sogno strano non si era più posto il problema di averne una o no. Il signore del sogno, elegantemente vestito gliela aveva chiesta in cambio del suo desiderio più grande. Lui aveva accettato, ma tanto era solo un sogno…
Così decise di regalarle la sua anima, ben sapendo che una volta donata non avrebbe mai potuto più chiedergliela indietro, lui sarebbe appartenuto per sempre a lei.
Quindi si fermò in un colorificio per comprare dei pastelli a olio e un cartoncino telato, voleva farle un ritratto dipinto con le sue mani e colorato con la sua anima. Il proprietario stranamente gli ricordava lo stesso omino del sogno. Lo servì con attenzione e dispensando consigli su come utilizzare al meglio i pastelli.
Marco Rampaldi uscì dal negozio soddisfatto e felice. Camminava anche lui di fretta, sembrava che tutta la città si fosse fermata e che solo lui avanzasse nel tempo e nel freddo della Milano resa evanescente dalla nebbia.
Quella sera non passò dal bar dagli amici, ma andò direttamente a casa. Non cenò neanche. Aprì il sacchetto e ne rovesciò il contenuto sul tavolo. Prese in mano il cartoncino telato, il carboncino e iniziò a fissarlo. Poi chiuse gli occhi respirò profondamente e cercò negli spazi più profondi della sua memoria il volto della sua amata. Sollevò le mani nel vuoto, mosse le dita a immaginare di toccare il viso di lei davanti, ne tratteggiava i contorni come se l’aria dovesse prendere vita e cominciare a respirare. La cercava spasmodicamente, le mani si muovevano lente come se regalassero morbide carezze. Poi improvvisamente aprì gli occhi, davanti a lui il nulla. Prese il carboncino ed iniziò a tracciare dei leggeri e sottili segni.
Lì avrebbe messo se stesso, tra quei segni, tra quei colori, avrebbe legato la sua anima ad un quadro e per sempre sarebbe appartenuto a lei. Lei sarebbe stata sua, lì immobile, ferma, immobilizzata su quel foglio per sempre.
Riuscì a fare ben poco quella sera, a parte delineare l’ovale del volto di lei.
Il giorno dopo si presentò in ufficio con un sorriso nuovo, stava pensando al momento in cui le avrebbe consegnato il ritratto. "Buongiorno Marco" disse Isella entrando nella loro stanza. "Buongiorno a te, Isella" rispose Marco Rampaldi e con occhi la seguiva mentre andava a sedersi alla sua scrivania. Com’era bella pensò, poi riabbassò la testa e riprese a lavorare. Non vedeva l’ora venisse ancora sera per poter continuare il disegno. Ogni tanto furtivamente la guardava come a volerne rubare degli istanti di vita da poter poi fissare sul suo cartoncino.
Lei ogni tanto sentendo il peso di quegli occhi alzava lo sguardo e gli sorrideva, lui abbassava la testa come colto sul fatto e riprendeva a lavorare. Le ore passavano e la sua mente si riempiva di immagini, smorfie, espressioni, nasi, bocche, occhi, sopracciglia, guance, labbra, denti che ridevano, sorridevano, parlavano, sussurravano parole.
Come furono le sei, Marco Rampaldi sistemò la sua scrivania, ripose il timbro, rovesciò su Isella un ultimo sguardo e la salutò. Doveva andare a casa prima che dalla sua mente svanissero tutte le immagini rubate. Doveva fissarle sulla carta, bloccarle nello spazio e rubarle al tempo. Camminava di fretta, la strada verso casa non era mai stata così lunga. La gente che fino al giorno prima era di fretta e di corsa ora gli sembrava andare piano e voler ostacolare il suo camminare.
Finalmente a casa. Aprì la porta, si tolse il pesante cappotto, prese in mano il carboncino ed iniziò a disegnare. Si addormentò sul tavolo e senza cenare quella sera.
Il ritratto era ormai avanzato. Il volto di lei era abbozzato ora doveva solo darle vita, doveva dare un’anima a quegli occhi vuoti, doveva dare la sua anima.
Marco Rampaldi arrivò leggermente in ritardo quella mattina in ufficio. "Buongiorno Marco, sei in ritardo questa mattina. E’ successo qualcosa?" chiese preoccupata Isella.
"Buongiorno a te Isella. No, solo non ho sentito la sveglia. Tu come stai? Mi sembri sciupata e stanca, tutto bene?" rispose.
"In effetti è da un po’ di giorni che non mi sento molto bene, ho una grande senso di spossatezza, come se avessi sempre meno energie, sarà un po’ di influenza."
Lui la guardò bene, gli occhi di lei un tempo allegri e vivi, ora erano cerchiati e spenti. Le labbra rosse e invitanti si erano spente e avvizzite. Tutta quella vita che un tempo sembrava muoversi con lei e seguirla in ogni sospiro non c’era più.
La giornata passò come al solito, lei china sulla scrivania sempre più stanca e lui a fissarla e a rubarle istanti di vita. Vennero come ogni sera le sei. Chiuso l’ufficio, Marco quasi senza salutare Isella uscì. Il finire il ritratto era diventato per lui la cosa più importante, era la sua ossessione. Arrivato a casa riprese il disegno e fissò quegli occhi vuoti e spenti. Mancava poco perché il ritratto fosse finito, mancava solo un sospiro, mancava la vita, mancava l’anima. Lo guardava fisso, seguiva con il dito il contorno di quel viso perfetto, lo amava, eccome se lo amava. Era tutto per lui, era lei e basta.
I giorni si succedevano come sempre lui sempre più affamato di lei e lei sempre più consumata dagli sguardi di lui. Lui sempre più forte e lei sempre più debole.
Una sera, poco prima di Natale, finalmente Marco riuscì ad animare quegli occhi vuoti. Il volto improvvisamente si rivestì di un’anima. Lo sguardo triste di quel disegno sembrò improvvisamente fissarlo e non volerlo più abbandonare. Sembrava implorarlo di restituirgli i sogni, la vita. Finalmente c’era riuscito.
L’anima, la sua anima che aveva così ceduto in sogno ora gli permetteva di realizzare il suo desiderio più grande. Aveva fatto quel ritratto per regalarlo a lei, ma ora era lei che si regalava a lui. Questo era il prezzo della sua anima. Isella era ora sua, era lì su quel pezzo di carta e nessuno avrebbe mai potuto portargliela via.
Improvvisamente Marco si ritrovò solo, con lei su un pezzo di cartoncino. Lui che voleva regalarle un’anima che ormai non gli apparteneva più senza accorgersene l’aveva rubata a lei, strappandola alla vita, al ricordo degli altri, portandole via l’essenza del suo essere, del suo tempo e del suo spazio. Era come se lei non fosse mai esistita, era scomparsa nel nulla della vita per esistere immobilizzata nel tempo su un semplice pezzo di carta. Nessuno si sarebbe mai ricordato di lei perché lei non era mai stata, ma era solo per lui e di lui.
Il mattino dopo Marco come ogni sempre si recò in ufficio. "Buongiorno Marco." Disse Grazia. "Buongiorno a te Grazia. " rispose Marco. Di Isella nessuna traccia, nessun ricordo, come se non fosse mia esistita. Lei che era stata ora apparteneva a lui nel suo non essere più.