lunedì 11 giugno 2007

La fabbrica dei ricordi


Ricordo poco. Faccio fatica anche solo a ricordare il mio nome…mi sembra Agata Palombo. Penso di chiamarmi così, ma non ne sono sicura. Che cosa strana non ricordo neanche da quando non ricordo, già perché se non ricordo non posso ricordare, logico.
Per avere memoria di quello che mi passa attorno mi trovo a dover appuntare tutto quanto mi succede su piccoli pezzi di carta per poi dimenticarmi anche dove li ho messi.

Una malattia? No, nessuna malattia, solo la vita. Ho vissuto a lungo, così a lungo da non ricordare più neanche da quanto. Ogni tanto rovistando tra i cassetti di casa trovo qualche appunto con scritte delle date, allora riesco ad avere dei punti fermi. Nel 1965 c’ero già! Ma avevo dei ricordi? Non lo so, non ricordo. Buffo?

Sono una donna matura ormai, non anziana, ma matura si. Ogni giorno mi guardo allo specchio per ricordarmi come sono fatta. La cosa bella di questa malattia è che non ricordandomi come ero non sento il peso della vecchiaia che avanza, ogni giorno mi guardo sempre con occhi diversi e nuovi. Però l’età avanza e anche se non mi ricordo il passare del tempo, questo scorre lo stesso.

Non so se ho mai amato qualcuno. Non penso neanche di avere dei figli. Oppure sì. Poco fa è stato a trovarmi un uomo con un bambino piccolo in braccio con degli occhi azzurri come il cielo, questo me lo ricordo. Devo quindi ricordarmi di scrivere che questo me lo ricordo. Almeno so cosa mi sono ricordata e cosa mi devo ricordare.

Casa mia è piena di fotografie, immagino che alcune siano mie, ma non ne sono sicura, ho dovuto catalogarle tutte aggirandomi per casa con uno specchietto, mi guardavo poi guardavo la foto e se mi riconoscevo attaccavo un’etichetta sulla cornice. Nelle immagini dove non mi riconoscevo mettevo, invece, un semplice punto di domanda, nella speranza di poter un giorno ricordare chi fosse.

Ricordo poco. Non so se è un bene o un male rispetto a quelli che ricordano. I ricordi possono essere pesanti da sopportare, ma almeno danno la consapevolezza di aver vissuto. Io non avendone non so se ho vissuto, non ricordando neanche la mia età, è come se non fossi mai nata. Già è come se io non avessi un tempo. I ricordi misuratori del tempo che passa. Più ricordi uno ha, più ha vissuto e se non ne ha? Vuol dire che non ha vissuto? Mi guardo allo specchio, i segni sul mio volto tradiscono una certa abitudine alla vita, eppure non ricordo nulla.

La vita. Ogni tanto ci penso. E se non avessi mai vissuto e se fossi solo una proiezione? In fondo non ricordo nulla. Per quanto ne so tutto attorno a me potrebbe essere solo un’idea. Per me conta solo il presente, ma si sa che il presente è tale in funzione del passato che invece è, ma se io non ho passato come posso dire di essere?

La morte. Ogni tanto ci penso. Cosa mi succederà, avrò la coscienza di morire? Però se non ho la coscienza di aver vissuto in teoria non dovrei avere neanche la sensazione di morire. Meglio, non mi piacerebbe l’idea di essere sepolta, magari viva per un errore dei medici e mangiata dai vermi come “Re Orso” di Boito. Potrei farmi cremare…sì, questa mi sembra una buona idea. Bisogna che me lo scriva da qualche parte così me lo ricordo. Anzì scriverò di ricordarmi di scrivere che voglio essere cremata sullo specchio in ingresso così non mi dimentico di dove ho messo il biglietto che mi deve ricordare che voglio essere cremata. Sarebbe poco carino marcire sotto terra, eppoi io odio i cattivi odori e l’umido.

Suona la porta, strano non ricordavo di aspettare qualcuno, ma tanto io non ricordo mai nulla.

“Ciao mamma, come stai oggi? Meglio? Mettiti il cappotto che ti porto alla Fabbrica per il Live up date annuale dei ricordi. Vedrai che poi starai meglio e ti ricorderai tutto di nuovo”.

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